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LUCAS SANTTANA

LUCAS SANTTANA

 

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Il Brasile emana ancora fantasie di mistero e paradiso per il resto del mondo, proprio come quelle descritte già nel XVI secolo nei racconti dell’avventuriero tedesco Hans Staden, o quelle che vediamo nelle opere del pittore francese del XIX secolo Félix-Émile Taunay, una visione dell’Eden che i brasiliani hanno anche poi portato nel loro modo di suonare la chitarra. Lucas Santtana si è ispirato a quella visione, rendendosi conto che il sentimento di bellezza che racchiudeva era, di fatto, universale.

Ogni volta che andiamo in vacanza in un luogo di estrema bellezza, immerso nella natura, la frase “questo è il paradiso” si impossessa di noi. Intuitivamente, vediamo il pianeta Terra come un luogo di meraviglia. E anche se questa premessa è stata profondamente intaccata dall’affermarsi di un modello economico basato sull’estrazione delle risorse naturali, rimane fondamentalmente vera. Santtana ha costruito questo album attorno ad essa: il paradiso è già qui (O Paraiso jà é acqui), quindi fermiamo la discesa all’inferno.

O Paraiso ha preso forma “durante la pandemia”, spiega Santtana. Un simile intoppo nella storia dell’umanità non è sfuggito a questo figlio di Bahia, la capitale del sincretismo religioso afro-brasiliano, con i suoi dei e le sue dee che controllano l’acqua, il tuono, la foresta e il mare. È stato come un messaggio inviatoci dal regno animale di fronte a un soffocamento ormai da tempo preannunciato. Le inondazioni, gli incendi, la siccità, gli tsunami, il ritardo dei monsoni, lo scioglimento dei ghiacciai e le perdite di petrolio sono tutti campanelli d’allarme che non vogliamo sentire”. Quanti mayday devono essere inviati prima che i nostri occhi si aprano, si chiede Lucas in una delicata canzone intitolata A Transmissão (La trasmissione).

Continuando come sempre a trattare argomenti gravi con un’eleganza gioiosa, Santtana ha creato O Paraiso con un tocco leggero, permettendosi di inoltrarsi in luoghi in cui le emozioni sono modellate dal flusso della vita (come in “Sobre La Memoria”, cantata in spagnolo). Santtana ha letto La Terra inabitabile. Una storia del futuro di David Wallace-Wells, con la sua descrizione dell’inferno a +4°C, e avrebbe potuto lasciarsi andare alla disperazione. Invece ha trasformato il dramma in speranza, controbilanciando la disperazione con la lettura del filosofo italiano Emanuele Coccia, autore di Metamorfosi: “Ogni essere è una metamorfosi, dalla gestazione alla nostra alimentazione. Tutta la vita è metamorfica, attraversa identità e mondi senza mai soccombere alla passività”.

Lucas Santtana cerca di scoprire l’origine dei nostri tormenti, per meglio combatterli. La prima calamità è l’”avidità” o avidità rapace che, sposata con il “signor consumo”, ha dato vita a un sacco di figli “che si definiscono tutti defunti”. Vorrei dire a Elon Musk che è stupido voler andare su Marte quando abbiamo l’immensa possibilità di vivere sull’unico pianeta abitabile del sistema solare…” (“Vamos Ficar Na Terra”). Ma invece di frenare tutta questa frenesia, coloro che la bramano, gli agroindustriali, i produttori di tecnologia avanzata accelerano la caduta con le loro bugie. E ora è il momento di decidere: vivere di più o morire già adesso, una domanda posta nella canzone “Biosphere”, eseguita in francese con il gruppo Les Petits Chanteurs di Asnières.

Dovremmo ascoltare gli sciamani, canta Santtana, gli indigeni, quelli veramente civilizzati. L’uomo non potrà mai essere padrone di una natura che è fuori di lui”. Tra queste dieci canzoni “organiche”, ci sono due cover che servono allo scopo di Lucas. Una, “Errare Humanum Est”, è una meditazione sulle nostre origini cosmiche composta da Jorge Ben nel 1974, che anche la Jovem Guarda brasiliana – Seu Jorge, Rodrigo Amarante – ha preso a cuore. L’altra, cantata con Flore Benguigui del gruppo L’Imperatrice, è “The Fool on the Hill” di Paul MacCartney, pubblicata per la prima volta nel 1967, un periodo in cui i Beatles esploravano il potere degli sciamani che possiedono il “terzo occhio”, quello che ci permette di vedere l’invisibile. E per illuminare ulteriormente la presenza di Flavia Coelho (“Muita Pose”, “Pouca Yoga”) su un tocco di pagode, un ritmo popolare di Salvador de Bahia.

Santtana, con la sua voce soave e la sua chitarra gentile, ha già utilizzato in passato campionamenti e atmosfere elettroniche (in O Deus Que Dévasta Mas Tam Ben Cura del 2012, Sobre Noites e Dias del 2014, Modo Aviao del 2017), prima di tornare alla semplicità della chitarra-voce in O Ceu E Velho Ha Muito Tempo del 2019. O Paraiso raccoglie tutti questi approcci, ampliando la domanda esistenziale da “Chi sono?” a “Dove sono?”.

L’album è stato registrato a Parigi, “con musicisti che si trovavano lì per caso”. È la prima volta. C’è Fred Soulard (pianoforte, tastiere, produzione); c’è il percussionista brasiliano Zé Luis Nascimento; il violoncellista francese Vincent Segal; il sassofonista Laurent Dardainne (Tigre d’eau douce, Poni Hoax) e una sezione fiati composta da Remi Scuito Sylvain Bardiau, tutti maestri della delicatezza musicale, dei piccoli tocchi impressionisti con batteria, marimba, ottoni, sintetizzatori, archi…

O Paraiso è stata un’opportunità “per cambiare i nostri riferimenti culturali”, dice Santtana. I brasiliani non hanno mai dovuto svolgere un ruolo egemonico, perché il Brasile non è mai stato un Paese di mediazione. Piuttosto, il mio Paese ha sempre offerto un’opportunità di coesistenza. Ma quando l’estrema destra è salita al potere nel 2018, il conflitto è diventato una modalità di governo.

La lotta per la salvaguardia dell’Amazzonia è diventata essenziale e definisce le condizioni per la sopravvivenza di tutti coloro che abitano quella biosfera blu chiamata Terra”.

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