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PIERS FACCINI

PIERS FACCINI

 

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Nel racconto “Un signore molto vecchio con certe ali enormi” di Gabriel Garcia Marquez, l’autore riflette sulle opposte sfaccettature della natura umana, come fossero le due facce di una moneta che gira e che cade a caso sul lato della crudeltà o della compassione. Il nuovo album del cantautore anglo-italiano Piers FacciniShapes Of The Fall, ci racconta qualcosa di simile e attraverso le canzoni si chiede quale parte della nostra natura prevarrà; noi, come l’uomo molto vecchio con le ali spezzate, impareremo a volare di nuovo o saremo destinati a cadere?

Con la canzone di apertura, They Will Gather No Seed, la narrazione ci spinge più verso quest’ultima opzione e con essa alla caduta. Una chitarra grezza pizzicata si fonde con un lontano schiocco di dita e le singole note basse di un pianoforte e, mentre un quartetto d’archi cresce di intensità, Faccini canta: “They’ll gather no seed, they’ll break no bread, they’ll gather no seed but a hunger instead“. Se la caduta prende le forme della miriade di pericoli che compongono il mosaico del nostro collasso ambientale, la discesa dipende dal nostro fare o disfare. ”Bring me my home back” non un’invocazione personale del cantante a una casa, ma il lamento animale di innumerevoli specie sull’orlo dell’estinzione.

Una narrazione distopica del mito del diluvio è il tema di All Aboard, una canzone in cui compaiono gli unici due ospiti dell’album: il cantautore californiano Ben Harper, che ha collaborato con Faccini anche nell’album Tearing Sky del 2005 e il cantante marocchino e maestro della musica tradizionale Gnawa, Abdelkebir Merchane. “All aboard, pull the oar and row, all aboard to the poles we go“, cantano Faccini e Harper mentre l’intervento del maestro marocchino porta uno spostamento in chiave maggiore chiedendo al santo o djinn Gnawa, El Fqih, benedizione e guarigione. Rovina o riparazione e speranza o disperazione sono proprio le narrazioni parallele dell’album. Con All Aboard, si torna verso la luce, verso la speranza.

Nel corso degli anni Faccini ha sviluppato col suo songwriting una passione per i dialoghi interculturali che sono stati a lungo ascoltati sulle coste del Mediterraneo nel corso dei secoli, collegando l’Europa meridionale con il Vicino Oriente e l’Africa. Nel corso dei suoi otto album in studio, compreso quello in duo con il violoncellista Vincent SegalSongs of Time Lost, ha approfondito la ricerca costante del dialogo musicale con artisti del calibro di Ballake SissokoIbrahim Maalouf e Jasser Haj Youssef.

Le influenze musicali in Shapes of the Fall attingono pesantemente all’ascendenza mediterranea di Faccini, ai modi e ai ritmi arabo-andalusi, sefarditi e dell’Italia meridionale. Iniziando dalla sua fascinazione per la taranta pugliese, l’ultimo esempio conosciuto di rituale e musica trance in Europa, l’album attraversa il Mediterraneo con canzoni che sono vascelli, accompagnato dai fratelli Malik e Karim Ziad, maestri strumentisti algerini, alla ricerca del dialogo con le tradizioni trance esistenti nel Maghreb e nella cultura berbera e Gnawa.

Che si tratti dei più percussivi Foghorn CallingFirefly o Levante, o delle composizioni più lente come The Longest Night, suonate con uno strumento realizzato appositamente per Faccini, un ibrido fretless tra chitarra e oud, questi brani sono intrisi di ritmo e registrati dal vivo in uno studio bucolico, nascosto nella campagna francese, dal co-produttore e ingegnere del suono Fred Soulard. Le percussioni scandiscono il tempo, mutano il silenzio in balli, tamburi a cornice come bendir e tamburello pulsano, mentre il metallo dei qraqeb e i clap forniscono la scintilla che accende le canzoni. In tutto l’album, il ritmo alimenta le fiamme del fuoco collettivo.

E così le canzoni suonano come elegie colme di rimpianto e di cupo dolore che implora di essere affrontato o risolto, ma con una nota di speranza che sboccia in noi dall’emozione traboccante scaturita dai monologhi interiori delle nostre vite, dalle nostre stesse riflessioni. Come abbiamo infilato le perle che costituiscono la nostra vita? Quali scelte, quali azioni determinano la nostra ascesa o caduta?

La struttura ciclica popolare di chiamata e risposta presente in queste canzoni e i testi ci interrogano. Ci chiedono: cosa faremo con il resto del nostro tempo in questo mondo? Cosa faremo con il resto del mondo? Un tema che ritorna, spostandosi nella forma musicale. Le domande rimangono, senza risposta, retoriche.

I versi ci tengono radicati nel ritmo della terra, bridge si immergono e si impennano, i ritornelli ci fanno cadere direttamente nel regno dell’emozione fino a quando, sbrogliando la matassa, la strofa e le percussioni ci riportano sulla terra. Gli arrangiamenti per quartetto d’archi del compositore spagnolo Lucas Suarez e il collaboratore della band londinese degli anni ’90 Charley Marlowe, sono il coro greco dell’album che gira e ritorna, chiamando Faccini a spingere la sua voce e la narrazione attraverso registri misteriosi.

Faccini canta supplicando, piegando con la sua voce le note ispirandosi ai modi musicali (maqam araboandaluso) dove le note fratturate e gli intervalli microtonali tra le note rispondono deliberatamente al suono degli strumenti a corde di budello (guembri) e fretless (oudaouisha). Qui, il magico e il mitico si scontrano con il reale e il presente dando all’ascoltatore uno spazio liminale in cui inserire la propria vita e il proprio vissuto nella musica.

Queste canzoni suonano come canzoni di rinnovamento e di monito, e possiamo immaginarcele cantate da Un signore molto vecchio con certe ali enormi per recuperare le sue forze, riparare le sue piume e raccogliere il suo spirito ancora una volta prima di essere pronto a risalire nei cieli blu polvere.

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